Il deputato del Pd Francantonio Genovese, su cui pende una richiesta di arresto firmata dal gip di Messina, Giovanni Di Marco nell’ambito dell’inchiesta sui corsi d’Oro, ha dichiarato di volersi sospendere dal partito e dal gruppo Pd della Camera. Subito dopo la diffusione della notizia, il gruppo del M5S a Montecitorio, compatto, ha chiesto le dimissioni da parlamentare.
“Per comprensibili ragioni di opportunità, non disgiunte dall’alto senso di rispetto che ho sempre avuto nei confronti delle Istituzioni, dei colleghi di Partito e dei Parlamentari tutti, anticipo la mia determinazione ad autosospendermi dal Partito Democratico e dal Gruppo Parlamentare”. Così scrive in una nota Genovese che continua: ”Con riferimento alla richiesta di autorizzazione a procedere presentata alla Camera dei Deputati dalla Procura della Repubblica di Messina, mi preme chiarire che, al momento, ho avuto contezza solo dei capi di imputazione e non delle ragioni a sostegno delle accuse mossemi. Sin da ora, tuttavia, anche alla luce di quanto emerso, in questi ultimi mesi, nel corso di un parallelo procedimento penale ed avuto riguardo alla documentazione già depositata agli inquirenti dai miei difensori, sono certo di poter fornire ogni chiarimento utile ad escludere la sussistenza degli addebiti che mi vengono contestati. Ciò farò, con serenità, in ogni sede, non esclusa quella Parlamentare”.
L’inchiesta “Corsi d’oro” sulla formazione professionale a Messina, questa mattina si era arricchita di un nuovo importante capitolo: la richiesta di arresto appunto per il deputato del Pd, Francantonio Genovese, già segretario regionale del partito democratico ed ex sindaco di Messina.
E’ accusato assieme a quattro suoi collaboratori arrestati ai domiciliari stamattina dagli agenti della Squadra mobile, Salvatore La Macchia, Domenico Fazio e Roberto Giunta e il commercialista Stefano Galletti, di una serie di reati che vanno dall’associazione per delinquere finalizzata alla frode sui corsi di formazione professionale, peculato e frode fiscale.
L’ordinanza di custodia cautelare del Gip per Genovese è stata già depositata alla Camera dei deputati per l’autorizzazione a procedere. Si tratta della prima richiesta di arresto per un deputato eletto in questa legislatura: Genovese è al suo secondo mandato.
Nell’indagine coordinata dai sostituti procuratori della Repubblica di Messina Fabrizio Monaco, Liliana Todaro, Antonio Carchietti e dal procuratore aggiunto Sebastiano Ardita sarebbero emerse speculazioni sui noleggi, sulle attrezzature e sull’acquisto di immobili per svariati milioni di euro.
Nella prima tranche dell’indagine furono arrestati e ammessi agli arresti domiciliari Daniela D’Urso, moglie dell’ex sindaco Giuseppe Buzzanca, Chiara Schirò, moglie di Genovese, e altre otto persone. In quell’inchiesta, la Procura di Messina aveva scandagliato la partita dei finanziamenti per la formazione professionale regionale nel periodo dal 2007 al 2013. Gli investigatori tentarono di fare chiarezza sui corsi organizzati da enti professionali legati ai due parlamentari e su compravendite o cessioni di rami d’azienda tra questi enti.
Emerse anche il metodo che riguardava gli affitti: una società prendeva in locazione un immobile per una certa cifra e poi lo subaffittava ad altri enti con un sovrapprezzo, caricati sui costi della formazione professionale e sostenuti dalle casse pubbliche. Lo stesso veniva fatto per gli acquisti di mobili e per le forniture di servizi. Dalla documentazione emersero anche fatture gonfiate del 600% per affitti o prestazioni di servizi, un metodo questo per accaparrarsi decine di milioni di euro destinati agli enti della formazione professionale.
All’esecuzione dei provvedimenti restrittivi ha partecipato anche la Guardia di finanza, da mesi impegnata nelle indagini. La gran parte degli indagati, in questa come nella prima fase dell’inchiesta, sono risultati legati tra loro da vincoli di parentela o comunque di assoluta fiducia.
Il deputato del Pd Genovese viene ritenuto dagli inquirenti come “l’unitario centro di interessi cui fanno riferimento una ragnatela di enti e società, uniti tra loro da una trama volta a consentire, attraverso meccanismi di fatturazione in tutto o in parte inesistenti, la sistematica sottrazione di consistenti volumi di denaro pubblico”.
Il parlamentare, sostiene chi indaga, “nel corso del tempo, ha acquisito, grazie ad una rete di complici riferibili anche alla propria famiglia, il controllo di numerosi enti di formazione operanti in tutta la Sicilia e, parallelamente, di una serie di società che gli hanno permesso di giustificare le appropriazioni, così da lucrare illeciti profitti”.
L’attività di indagine, nella prima fase, si era concentrata sugli enti Lumen, Aran e Ancol. Ora l’indagine si estende a Enfap, Enaip, Ial Training Service, L&C Training and consulting, Cesam, Ecap, Cesofom, Apindustria e Reti. All’attenzione degli investigatori i corsi organizzati da enti professionali legati al parlamentare del Pd e alcune compravendite o cessioni di rami d’azienda tra gli stessi enti.