Il sogno si è trasformato in un incubo, anche se neanche troppo tempo fa il Catania era abituato a convivere con le proprie paure. Per anni è stata una squadra che sapeva quanto fosse in salita quella strada che avrebbe portato alla permanenza nella massima categoria che poi si festeggiava come il più bello degli scudetti. Lo sapevano i tifosi, la città e la società che costruiva una squadra che avesse nel dna la voglia e la capacità di lottare.
Il Catania di quest’anno, probabilmente, sfoggia numeri e calciatori di livello superiore rispetto ai colleghi che hanno calcato l’erba del Massimino, ma in questo Catania non affiorano ancora quei calciatori abituati a convivere con l’incubo di una classifica terribile.
Ci piace ricordare, ad esempio, la tempra del ‘capitano’ Davide Baiocco, l’uomo che ci metteva sempre la faccia, o la cattiveria di Giacomo Tedesco, uno che dava fastidio come pochi azzannando l’avversario con una precisione chirurgica da risultare quasi un angioletto. Ma anche Ezequiel Carboni, Marco Biagianti, Lorenzo Stovini o Gionatha Spinesi che a Bologna, quando il Catania conquistò la prima storica salvezza contro il Chievo, si abbandonò ad una corsa liberatrice nonostante le stampelle a causa di un infortunio. Proprio le lacrime di felicità del Dall’Ara, in quella partita che cambiò la storia rossazzurra, sono un ricordo tanto lontano quanto lo era la distanza dallo stadio Massimino. Eppure qualcosa rimane.
Quest’anno, infatti, solo la sfortuna ha privato il Catania di un reduce dell’epoca: Mariano Izco, uno dei pochi che a queste latitudini ha convissuto con le paure di una classifica da incubo. L’argentino, che nel frattempo è cresciuto, ha nel suo dna la capacità e la voglia di lottare, così come ci piace ricordare la versione atalantina di Tiberio Guarente che con la Dea conquistò salvezze con grinta e generosità.
Questa squadra era stata legittimamente immaginata per raggiungere con facilità la salvezza, ma i piani sono cambiati. Oggi è opinione comune prevedere degli interventi durante la finestra di mercato di gennaio, ma pensare a dei fuoriclasse capaci di tirare fuori la squadra dalle sabbie mobili potrebbe essere tanto onesto quanto nocivo.
Al Catania servono ‘capitani coraggiosi’, gente che sia sempre presente anche quando non è in campo. Servono calciatori abituati agli incubi e alle paure, ma capaci di infondere tranquillità ad un ambiente che oggi non può più fare sogni mostruosamente proibiti.