Tutto l’anno è nel cuore dei cittadini, ma finalmente il momento tanto atteso è arrivato. Sant’Agata ha fatto la sua spettacolare uscita che ha lasciato tanti devoti, anche questa volta, senza parole. Ma altrettanti non devoti, al contrario, con tanto, troppo, da ridire.
La storia di Agata è nota: intorno al 250 il proconsole Quinziano si invaghì di lei e le chiese di ripudiare la sua fede e adorare gli dei pagani. Ma Agata si rifiutò a tutti i costi, sopportando perfino violenze come la fustigazione, lo strappo delle mammelle e i carboni ardenti.
Quella della Patrona di Catania è la terza festa religiosa più importante al mondo.
Ma le opinioni dei catanesi si spaccano tra chi la vive come una festa religiosa e chi la vede, invece, come una festa commerciale, turistica e perfino mafiosa.
Ma i giovani conosco la loro Santa? E come vedono la festa? Ecco cosa ne pensa la liceale Germana De Agró: ” Personalmente ritengo che la storia di Sant’Agata sia una delle più commoventi ed al tempo stesso maggiori manifestazioni della fede umana, di un amore quasi sfrenato verso Dio e di una completa presa di coscienza della religione Cristiana. Sant’Agata é infatti stata capace di portare avanti le sue scelte difendendo a costo della sua stessa vita ciò in cui credeva”.
Tre giorni di vacanza per la festa di Sant’Agata: giorni di calia o i giovani seguono la festa? E se la seguono, lo fanno da devoti o da curiosi?
“A mio avviso questa festività è vista da molti non per la sua vera essenza – continua Germana – ma come un momento dell’anno in cui tutti sono più liberi e si può anche organizzare un viaggio veloce senza perdere giorni di lavoro o di scuola per noi ragazzi. La maggior parte dei giovani, infatti, non è nemmeno realmente a conoscenza della storia della Santa o dell’essenziale motivo della festa, e si gode semplicemente la ricorrenza come periodo di stop durante l’anno scolastico. Dubito che ci siano curiosi semplicemente perché coloro che apprezzano davvero la ricorrenza sono già a conoscenza della storia, mentre coloro che non la festeggiano non hanno nemmeno interesse ad informarsi al riguardo”.
Sant’Agata aveva 15 anni ed ha fatto un grande sacrificio per non rinunciare ai suoi principi. Pensi che le ragazzine di oggi sarebbero disposte ad arrivare a tanto per difendere quello in cui credono?
“Sinceramente sono convinta che il suo gesto dovrebbe essere d’insegnamento per tutti noi, che molto spesso ci accontentiamo delle cose più semplici perché lottare è ormai quasi un optional nella vita giovanile. Credo che veramente pochissime ragazze sarebbero disposte ad un gesto esemplare come questo, forse perché ormai si dà più peso all’apparire piuttosto che all’essere e non si hanno più dei veri ideali in cui credere anche a costo della vita. Ovviamente non si può generalizzare perché esistono ancora persone a cui importa veramente quello in cui credono e scelgono di essere un po’ diverse da ciò che i mass media impongono come modello, per non rinunciare ai propri ideali. Al tempo stesso, però, non so se qualcuno si spingerebbe al punto di morire per i propri principi seppur li consideri fondamento della sua stessa vita”.
Tra i devoti, ovviamente, il senso della festa è ancora molto forte, come racconta uno di loro, Sergio Gualtieri.
Come nasce questa usanza di indossare il sacco? È stata una tua scelta o dei tuoi genitori? “La mia famiglia mi portava a vedere la festa ogni anno, ma nessuno metteva il sacco. L’ho messo per la prima volta a venti anni, per un voto. Il voto è andato male, ma non ho voluto toglierlo per questo”.
I tuoi figli lo mettono? – “Io ho due figlie femmine e non indossano il sacco. Questo perché secondo la tradizione il sacco era il pigiama con cui i cittadini sono usciti da casa per accogliere le spoglie della Santa rientrate in città. E a quei tempi le donne non uscivano di notte, figuriamoci in pigiama”.
Cosa ne pensi di tutto quello che si crea attorno alla festa di Sant’Agata? – “Attorno a questa tradizione ci sono e ci saranno sempre molte critiche. I soldi usati per la festa non sono pubblici, ma sono donazioni di devoti e degli esercizi pubblici. L’Italia è un paese pieno di manifestazioni religiose che sfociano nel pagano e i fuochi sono una bella manifestazione, quindi crisi o non crisi che ben vengano. Mi piace che molti non italiani partecipano alla festa e il vero miracolo, secondo me, è vedere tutta la città, dai professionisti ai ragazzi del popolino, stare insieme per questi tre giorni”.
E l’altro lato della medaglia? Così commenta la festa Ottavio Cappellani, scrittore siciliano trasgressivo e fuori dalle righe: “Le infiltrazioni mafiose, i costi dei fuochi o qualsiasi altra cosa, sono un’inezia rispetto alla vera devianza della festa: il catanese. È il catanese che emana mafia, fuochi, scommesse sulla velocità della Santa come fosse una cavalla da gustare sull’arrustemmangia (infatti il catanese gli addenta le minnuzze), cocaina, rapporti sessuali consumati tra la folla, sado e maso, morti investiti dal fercolo, applausometri, carrozze del senato dal vago sapore di una festa en travesti come se ne svolgono al porto. La festa di Sant’Agata è un “megaraveparty” sovrastato da una Sant’Agata versione drag queen”.
Insomma i diversi “schieramenti” sono ormai entrati a far parte della tradizione di Sant’Agata. Nel frattempo, però, the show must go on, e la città è pronta ad accogliere Sant’Aituzza tra ceri, fiori e fuochi d’artificio.