Mazzette per 38 milioni di euro sarebbero state pagate nell’ambito dei progetti per la costruzione di quattro termovalorizzatori in Sicilia, strutture mai realizzate.
E’ la convinzione degli analisti della societa’ di revisione Enrst & Young al termine di un audit commissionato da Gea, il colosso tedesco quotato in borsa che avrebbe dovuto fornire chiavi in mano, con l’italiana Pianimpianti, tre dei quattro maxi-inceneritori che avrebbero dovuto produrre energia bruciando rifiuti.
Nella relazione, come riporta il Sole24Ore on line, gli esperti di Enrst & Young scrivono che sarebbero emersi “indizi che fanno presumere che un valore pari a 38 milioni di euro non abbia diretta correlazione con le commesse; che tale importo sia entrato a far parte delle commesse per effetto di sovrafatturazioni; che le transazioni per l’importo sopra citato siano state realizzate attraverso Pianimpianti e Lurgi; che le persone coinvolte sono state oggetto di indagini penali in Italia e in Germania per accuse di corruzione e che hanno fornito informazioni incomplete e contraddittorie sui fatti”.
Impedimenti a catena. La gara fu indetta nell’agosto 2002 dal presidente della Regione siciliana Totò Cuffaro nella veste di commissario delegato all’emergenza rifiuti ed aggiudicata nel 2003 a quattro società consortili: Tifeo, Platani e Pea, controllate dal gruppo Falck-Actelios attraverso Elettroambiente, e Sicil Power, controllata da Daneco e Waste Italia. Ma i manufatti non videro mai la luce per un complesso di ostacoli che impedì la realizzazione del progetto.
L’intralcio più grave si verificò nel luglio 2007, quando la Corte di giustizia del Lussemburgo, inaspettatamente, annullò la gara (perché non conforme alle norme europee) mentre erano in corso già da tempo, da parte delle aziende aggiudicatarie, le attività di preingegneria.
La riscrittura dei bandi. Prima che i quattro bandi fossero riscritti e riproposti trascorsero altri due anni. Nel frattempo Cuffaro si era dovuto dimettere e al governo della Regione era salito Raffaele Lombardo. Ad occuparsi della riformulazione delle quattro gare fu l’Arra, l’Agenzia regionale per i rifiuti e le acque, cui da tempo Palazzo dei Normanni aveva conferito i propri poteri in materia. L’operazione fu curata dal presidente dell’Agenzia, l’avvocato Felice Crosta, del quale rimarrannno leggendari lo stipendio e l’assegno di pensione. Siccome però la nuova asta andò deserta, per una clausola bizantina che imponeva al vincitore l’implicito risarcimento dell’aggiudicatario precedente, Lombardo abbandonò il progetto, aprendo tra sé e il centro-destra una frattura insanabile.
Richieste di danni. Ne scaturì un ampio contenzioso legale che oppone ancora oggi la Regione siciliana alle imprese che lamentano il danno della soppressione della commesse: contenzioso che nel 2013 ha visto soccombere in primo grado la Falck davanti al Tribunale amministrativo regionale di Palermo e che adesso è in fase di appello. Sono tuttora in corso tre procedimenti davanti al giudice civile di Milano, uno davanti al Tar del Lazio, altre sette giudizi presso il Tribunale amministrativo di Catania, un altro davanti al Tribunale civile di Palermo, altri quattro davanti al Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione siciliana e tre regolamenti preventivi di giurisdizione pendenti in Cassazione.
“38 milioni di euro in tangenti per aggiudicarsi gli appalti per gli inceneritori in Sicilia, quanto emerge in queste ore non è altro che la conferma dei nostri sospetti. L’affare inceneritori era fortemente inquinato da una rete di tangenti e di irregolarità amministrative a tutti i livelli. Questo genere di contesto spiega perché siano state ignorate le considerazioni sulla loro pericolosità ambientale e soprattutto sulla loro antieconomicità. Ci auguriamo che venga fatta piena luce su questa pagina oscura della politica siciliana.” cosi il coordinatore regionale di Sinistra Ecologia e Libertà, Massimo Fundarò.