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Danni da emotrasfusioni Ministero condannato a risarcire

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Il ministero della Salute deve risarcire una paziente con oltre 130 mila euro per i danni provocati da emotrasfusioni. E’ quanto hanno stabilito i giudici del Tar di Palermo presieduto da Nicolò Monteleone (Pier Luigi Tomaiuoli, Primo Referendario e Anna Pignataro, Primo Referendario) che hanno accolto il ricorso presentato da Santa Testa assistita dall’avvocato Rosa Maria Sciortino.

La donna si era rivolta ai giudici amministrativi per dare esecuzione alla sentenza del 2011 con la quale il Ministero era stato condannato a risarcire la paziente. La sentenza è ormai esecutiva dal maggio del 2013, ma ancora non era stato dato corso al risarcimento.

Il ricorso va, accolto e, va dichiarato l’obbligo del Ministero della Salute di conformarsi al giudicato – si legge nella sentenza – provvedendo al pagamento in favore della ricorrente delle somme entro sessanta giorni dalla comunicazione”.

I giudici hanno nominato per dare esecuzione alla sentenza quale commissario ad acta il Ragioniere Generale dello Stato che si dovrà impegnare entro poco tempo a risarcire la paziente. Se la somma non viene subito erogata i giudici del Tar visto il valore della controversia da un lato e il prolungato inadempimento dall’altro, hanno giunto altri 300 euro in più per ogni mese di ritardo, nell’esecuzione della sentenza.

Quello dei risarcimenti per sangue infetto è un lungo capitolo. Il ministero della Salute ha perso numerose cause per le infezioni e le malattie contratte dai pazienti. L’ultimo clamoroso episodio riguarda la Corte d’appello di Palermo ha condannato il ministero della Salute al pagamento di quasi un milione e 400 mila euro in favore di un palermitano che ha contratto l’epatite per una trasfusione con sangue infetto praticatagli nel 1970, quando aveva sette anni.

Sino ad ora i giudici avevano posto il limite del 1978 per richiedere i risarcimenti da trasfusioni infette – spiega l’avvocato Maria Teresa Parrino che ha difeso l’uomo assieme a Salvatore Mazzola – poichè si riteneva che sino a quella data non fossero conosciuti i virus che causano l’epatite e nessuna responsabilità si potesse addossare ai laboratori sanitari pubblici. Solo tra il 1978 e il 1989, infatti, vennero perfezionati i test di identificazione dei virus e in primo grado il ricorso venne respinto.

Ma ora le cose sono cambiate. Il perito giudiziale, professor Giovan Battista Rini, ha dimostrato che subito dopo la trasfusione al bambino venne diagnostica la comparsa dell’epatite, poi aggravatasi sino a farlo ricoverare più volte in gravi condizioni all’ospedale Cervello e farlo operare, nel 2003, di trapianto di fegato.

Un’odissea che ha causato l’invalidità al lavoro per il paziente, scrivono i giudici. Il ministero della Salute aveva il dovere di porre in essere tutte le cautele e le misure precauzionali conosciute dalla scienza – sottolineano due legali -; l’aver omesso di effettuare i controlli effettivi di laboratorio sul sangue (anche importato da Paesi ove i donatori venivano remunerati e che, per tale motivo, era meno sicuro) e, comunque, il non aver dimostrato di aver vigilato sull’effettuazione, da parte delle strutture operative competenti, sui controlli che potevano rivelare la presenza di infezioni all’epoca conosciute. (quali quelle derivanti dal virus dell’epatite B), ne determinava la responsabilità anche per le infezioni che all’epoca non erano ancora conosciute dal punto di vista molecolare (epatite NANB ed HIV), atteso che il rischio della diffusione di queste ultime infezioni sarebbe stato certamente scongiurato qualora fossero state adottate le misure precauzionali note per contrastare malattie diverse e conosciute sin dai primi degli anni ’70.

Una tesi condivisa dai giudici d’appello che hanno condannato il ministero a pagare anche le spese processuali di primo e secondo grado (sentenza 1877/2013).


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