Dal carcere, il capo storico del clan, Giuseppe Zucchero, detto ‘Pippo’ continuava ad impartire gli ordini. Estorsioni, rapine a mano armata, traffico di armi e droga, recupero di crediti. L’intento era quello di riorganizzare e rafforzare il sodalizio mafioso messo a dura prova nel 2011 con l’operazione ‘Libertà’ e con l’arresto dello stesso Pippo Zucchero.
Le indagini avviate nel mese di dicembre 2011 e che oggi hanno portato all’arresto di 24 persone hanno azzerato il nuovo braccio del Clan della Stazione e hanno individuato gli affiliati Francesco Liberato, Roberto Di Mauro, Davide Silverio e Domenico Zuccaro.
Il ‘pizzo a tappeto’, le richieste estortive ai commercianti di Catania e della provincia era il terreno fertile dell’attività criminale. Estorsioni necessarie al recupero di denaro, dopo il sequestro preventivo di beni disposto nel 2011. Secondo schemi tradizionali e tipici della criminalità organizzata chi non sottostava alle richieste subiva minacce, intimidazioni e in alcune occasioni attentati incendiari.
Il clan si organizzava anche con rapine a mano armata non solo nel territorio catanese, ma anche in altre regioni: erano state anche progettate nei minimi dettagli, ma poi non portate a compimento, le rapine a un ufficio postale di Faenza e ad una gioielleria in provincia di Reggio Calabria.
Il clan, per incrementare gli introiti, ha ampliato il proprio raggio d’azione con nuove attività illecite, in particolare avviando recupero crediti. Alcuni creditori, anche usurai, per poter ottenere in maniera più rapida ed efficace la restituzione del denaro dato in prestito, si rivolgevano a soggetti mafiosi che, facendo leva sul timore ingenerato dalla propria caratura criminale, ottenevano immediatamente quanto richiesto, trattenendo una parte dell’importo riscosso come provvigione per l’attività svolta.
Anche lo spaccio delle sostanze stupefacenti rientrava tra le attività più remunerative per il sodalizio. In questi casi, lo smercio avveniva reclutando persone estranee al clan al fine di far ricadere su altri il rischio delle eventuali conseguenze in caso di controlli di polizia: cocaina e marijuana erano ‘affidate’ ai ‘Carusi’.
L’atteggiamento temerario dei nuovi vertici indagati ha causato momenti di frizione con altri clan mafiosi, consentendo agli investigatori di acquisire elementi di prova su personaggi di spessore del gruppo della “Civita”, riconducibile alla famiglia Nizza, in particolare Giovanni Nizza e Salvatore Mirabella).