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Antiparentopoli, D’Alia contro Crocetta “Incoerente parlare di autonomia mortificata”

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Le dichiarazioni del ministro della Funzione Pubblica, Gianpiero D’Alia non gli erano piaciute per nulla. Il richiamo all’applicazione del decreto legislativo 39 del 2013, quello “inasprito” proprio dal ministro messinese, e grande alleato del governatore siciliano, a Crocetta erano sembrate un’invadenza inaccettabile e un giudizio sull’operato del suo governo. Che con il ddl antiparentopoli, secondo il presidente della Regione, ha fatto una scelta di campo. Definitiva e senza margini di dubbio sulla matrice anticorruzione che la sua giunta vuole dare all’amministrazione della Sicilia. Un punto d’onore insomma.

Tanto che già ieri con dichiarazioni ai giornali e oggi con un ulteriore comunicato stampa, Crocetta ribadisce la sua posizione sulle norme contenute nel ddl antiparentopoli e che invece il commissario dello Stato, Carmelo Aronica ha bocciato tacciandole di incostituzionalità. Si tratta dell’articolo 1, comma 1, lettera C della legge approvata il 12 agosto scorso dall’Ars, del comma 2.1 bis, comma 2.1 ter, comma 3: tutte norme dell’articolato che il commissario dello Stato ha censurato per le parti relative alle incompatibilità con la carica di deputato di soci, funzionari e dipendenti di società o enti (di formazione) che ricevano contributi dalla Regione siciliana. Motivi sufficienti per il governatore per far decadere deputati o per rendere ineleggibili i candidati ma che, secondo il commissario dello Stato, ledono il diritto passivo dell’elettorato e per questo incostituzionali.

Ma Crocetta non demorde, anzi. Nel comunicato stampa di oggi ribadisce la sua posizione e affronta di nuovo il ministro D’Alia: “Ci sembra eccessiva – scrive replicando al lavoro di Aronica – la benevolenza nei confronti del socio, essendo il socio detentore reale e vero del potere economico del patrimonio dell’azienda e quindi in grado di esercitare una influenza dominante. Ne è prova il fatto che nella recente inchiesta sulla formazione (quella della Procura di Messina che coinvolge i due deputati del Pd, Francantonio Genovese e Franco Rinaldi, ndr) due dei soggetti coinvolti affermano testualmente “non ci possono fare nulla perchè siamo soci”.

Quindi il presidente della Regione, che oggi in giunta aveva annunciato di voler riproporre la norma, rimarca: “ Voglio rappresentare che con la legge sulle incompatibilità e ineleggibilità  abbiamo introdotto, per la prima volta, la regola che la partecipazione ad enti di diritto privato, anche senza finalità di lucro, che fruiscono di finanziamenti o contributi da parte della Regione costituisce motivo di ineleggibilità ed incompatibilità a deputato regionale. Tutto ciò è rimasto ed introduce nuovi livelli avanzati di salvaguardia del ruolo di deputato e degli interessi della pubblica amministrazione”.

Poi riprende la polemica con D’Alia: “Non riesco a capire l’invocazione continua che parte della politica siciliana fa sull’applicazione del decreto legislativo n. 39/2013. Questo decreto legislativo è già applicato anche in Sicilia (attraverso una circolare firmata agli inizi di agosto dall’assessore alle autonomie locali, Patrizia Valenti, ndr) e, comunque,  non mi pare che in Italia abbia risolto la questione del conflitto d’interessi. La legge siciliana in questo campo vuole fare di più rispetto al Paese anche perchè il Legislatore ha affidato alla Regione la facoltà di introdurre norme e criteri più rigorosi rispetto al resto della nazione”.

Ma il ministro, oggi replica con parole altrettanto dure all’indirizzo di Crocetta: “Non si può più, oggi, nelle Regioni e negli altri enti locali, fare finta che le norme nazionali” di contrasto alla corruzione “non esistano o non siano applicabili agli enti locali, i quali non possono essere o diventare un porto franco dell’illegalità o della corruzione”. Così come “neppure si può pensare, o addirittura affermare, come pure è successo, che la richiesta di applicazione immediata di queste norme nazionali sia una mortificazione dell’autonomia locale: si tratta di una motivazione incoerente e strumentale” dice D’Alia ribattendo al presidente siciliano che lo aveva accusato di mortificare l’autonomia della Regione. Per il titolare della Pa “la legislazione anticorruzione nazionale che ho indicato deve essere immediatamente ed efficacemente applicata, senza ritardi, senza deroghe e senza scuse”.

In una lunga nota, l’esponente dell’Udc – che richiama i punti salienti del decreto legislativo e norme che arginerebbero i rischi di corruzione della pubblica amministrazione – difende il suo decreto: “Si tratta di una normativa che (unita a quella penale, che ha aumentato le pene per molti reati contro la pubblica amministrazione e ha introdotto nuove ipotesi di reato, come il “traffico di influenze illecite” e “la corruzione tra privati”) non ha precedenti per la vastità, la multidisciplinarità e la profondità dell’intervento in materia e che rappresenta un passo in avanti epocale nell’approccio al fenomeno”.

Quindi il diktat: ”Anche la Regione Sicilia dovrà uniformarsi, nei tempi indicati dalle norme, alla nuova regolamentazione anticorruzione. Se non lo facesse – conclude D’Alia- priverebbe i propri cittadini di un efficace sistema di controllo diffuso della attività dell’ente e della spesa pubblica regionale, sottrarrebbe l’attività amministrativa regionale alla rete di controllo e prevenzione del fenomeno corruttivo creata dalla legislazione richiamata ed impedirebbe l’applicazione delle sanzioni previste dalle norme per chi ne viola le prescrizioni”.


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