Chi conosce la storia della Chiesa davanti alle polemiche sull’eredità spirituale di don Puglisi può a buon diritto fare un malizioso sorriso. Le rivendicazioni sul nome del prete palermitano e sulla sua opera sono niente rispetto ai cosiddetti “furta sacra” medievali, quando monaci salmodianti, pellegrini o più semplicemente baldanzosi ladri percorrevano in lungo e in largo Occidente ed Oriente per impossessarsi della più piccola reliquia di qualunque santo.
Nel Medioevo generalmente traslazioni e furti di reliquie avvenivano per due motivi: il primo era dato dai poteri taumaturgici delle spoglie dai santi e dall’insostituibile protezione celeste che queste irradiavano, il secondo era decisamente più terreno ed era dettato dalla volontà di aumentare il prestigio di casate, famiglie, città o monasteri.
Considerato che le reliquie di don Pino Puglisi sono custodite nella Cattedrale di Palermo e a nessuno sia saltato in mente di trafugarle, non resta che contendersi il nome del prete di Brancaccio e la sua “eredità spirituale”. Alla luce della storia, la vis polemica intorno al nome di Padre Puglisi non stupisce: tutti vogliono poter operare nel nome del beato, non solo per le ovvie motivazioni personali e religiose, ma anche perché, direbbero gli esperti di marketing, si tratta di un brand molto forte. San Padre Pio è un esempio in questo senso: non solo statuette e santini, ma anche insegne per panifici, ospedali e case di riposo. La santità, a volte, può essere l’anima del commercio.
A dire il vero però per quanto riguarda padre Puglisi si parla solo di opere di rilevanza sociale e questo è già un fatto positivo, tuttavia mi sembra non sfugga alla logica precedentemente esposta. Ma proprio per il fatto che in ballo dovrebbero essere solamente opere meritorie, la polemica risulta piuttosto incomprensibile. Si può continuare all’infinito il dibattito su chi è stato più amico di don Puglisi, su chi possa considerasi legittimo erede dell’opera e del metodo di questo prete mite e sorridente ma è un discutere a vuoto dato che Padre Puglisi ormai è patrimonio di tutti, o meglio di coloro che sono capaci di vivere la sua radicalità evangelica.
I luoghi, i legami familiari e amicali, le posizioni d’autorità non consentono di accampare diritti su don Pino, perché egli è di tutti coloro che compiono la volontà di Dio proprio come insegna il Vangelo: «Chi è mia madre e chi sono i miei fratelli?». Poi stendendo la mano verso i suoi discepoli disse: «Ecco mia madre ed ecco i miei fratelli; perché chiunque fa la volontà del Padre mio che è nei cieli, questi è per me fratello, sorella e madre» (Mt 12, 48-50).
Chiaramente si è liberissimi di accapigliarsi su chi è più “puglisiano” o sui luoghi del beato, ma la vera riflessione della comunità ecclesiale palermitana dovrebbe vertere sulla testimonianza del neo beato, dalla quale siamo tutti drammaticamente troppo lontani.