La legge c’è, ma occorre metterla in pratica: disegnare cioè i nuovi soggetti geopolitici che andranno a sostituire le defunte Province regionali. Il ‘risiko’ va avanti già da mesi, con gli strateghi della politica e della burocrazia che, armati di compasso e righello, provano a tracciare confini e delimitazioni dei Consorzi di comuni cercando di rimanere nelle regole previste dalla norma varata dall’Ars. E, soprattutto, provando a non urtare le sensibilità di quelle comunità che hanno gli incubi solo ad immaginare identità diverse da quelle d’origine.
Sono state proprio le questioni di ‘campanile’, infatti, a scatenare le polemiche più feroci poco dopo l’approvazione della riforma voluta da Crocetta. In alcuni casi, Acireale docet, c’è chi ha issato già le barricate proponendo al Consiglio comunale di votare l’esclusione dall’area metropolitana in cui è stato collocato.
Eppure, la storia offre un assist millenario: le diocesi ecclesiastiche. Cioè, quelle Circoscrizioni territoriali su cui si estende la giurisdizione spirituale e il governo ecclesiastico di un vescovo. Un’organizzazione che la Chiesa ha mutuato dall’Impero Romano. E che, nel corso dei secoli, ha subito modifiche e ristrutturazioni. L’ultima, in occasione del Concilio Vaticano II. E pare che se ne prepari un’altra, sotto Papa Francesco (lo ha chiesto alla Cei), di ulteriore semplificazione.
La regione ecclesiastica Sicilia conta 17 diocesi. A queste si aggiunge l’eparchia di Piana degli Albanesi. Va sottolineato però che esistono anche 5 province ecclesiastiche che potrebbero assomigliare alle nuovissime aree metropolitane che sono solo tre: Palermo, Catania e Messina.
Certo per trasferire l’organizzazione in diocesi all’ordinamento regionale degli enti locali ci sarebbe qualche particolare da limare. I confini diocesani, rimarcati nei Vicariati, sono chiari e godono di quella continuità territoriale che potrebbe creare qualche problema nella costituzione dei Consorzi di comuni previsti dalla riforma siciliana; più complessa invece è la questione popolazione, altro dogma fondamentale nella genesi delle nuove ‘community’ isolane, dove, se si vuole fare il paragone con i consorzi, spesso i numeri non coincidono.
La diocesi di Nicosia, ad esempio, conta solo 81.500. Quindi, se si volesse creare un ‘libero consorzio’, mancherebbero all’appello 98.500 cittadini che potrebbero essere trovati sconfinando nelle diocesi confinanti, con un effetto domino che si ripercuoterebbe su tutto il territorio.
Insomma, lo Stato della Chiesa conferma ancora una volta di essere in grado di fare prima e meglio di quello italiano: riesce a eleggere un Capo in pochi giorni, sostituisce rapidamente ‘ministri’ e segretari di Stato e, soprattutto, si dà un’organizzazione amministrativa pratica ed efficiente. E succede da secoli.
La Chiesa Cattolica Romana è un’istituzione ultramillenaria che va avanti nonostante gli scricchiolii del tempo e qualche significativo scossone come lo scisma protestante, ma nonostante gli oltre 200 secoli resiste anche perché si fonda su un principio fondamentale: l’obbedienza (quasi) incondizionata.
Pretendere ciò dalla politica e dalla burocrazia siciliane, tra le più paludate e farraginose, sarebbe forse troppo. Ma forse sperimentare magari solo un po’ del senso pratico che alberga nei palazzi d’OltreTevere, qui nella terra dei Gattopardi, non potrebbe che portare un salutare soffio di rinnovamento.
effelle-rn