Il governatore Rosario Crocetta è nato con la camicia. Ha una fortuna del diavolo. E’ baciato dalla sorte. Ditela come volete, il presidente della Regione siciliana, quando sembra a un passo dalla caduta, riesce sempre ad incassare benefit inaspettati. Spesso dagli eventi che non controlla lui stesso. Come ieri ha detto nella conferenza stampa in cui ha presentato la finanziaria e ovviamente ha commentato gli sviluppi dell’inchiesta sui rimborsi ai gruppi parlamentari dell’Ars in cui risultato indagati 83 deputati su 90 della precedente legislatura.
“Credete che sia stato io a farla l’inchiesta?” ha scherzato con i giornalisti a fine di un ragionamento in cui sostanzialmente si vantava di non aver mai voluto l’ingresso in giunta dei deputati. Circostanza che oggi gli impedisce di essere a capo della “giunta più indagata d’Italia”.
E così, quello che sembrava la naturale evoluzione delle prossime settimane di Crocetta – dopo aver approvato la finanziaria con soli 39 deputati presenti in aula – ovvero il rimpasto a cui si sentiva destinato dai risicati spazi di manovra numerica in aula, si allontana sempre di più. E per farlo intendere Crocetta ha usato il suo linguaggio più diretto. A proposito dell’inserimento in giunta di deputati, ha spostato il baricentro del confronto: “E’ un tema che pongo a Renzi, D’Alia o alla politica nazionale. Non posso sempre apparire come quello che si deve creare tutti i nemici del mondo e da Roma ognuno si guarda lo spettacolino. E’ arrivata l’ora che da Roma ci si assuma le proprie responsabilità. Io per aver tenuto questa linea sono stato processato e mi dovevano sbattere fuori dal partito, ho subito alcune profonde umiliazioni”.
Parole che danno forza a Crocetta che punge sul vivo il suo nuovo segretario, Matteo Renzi che nella sua segreteria si trova un deputato indagato, Davide Faraone e che dovrà oggi stesso – nel corso della direzione nazionale convocata nel pomeriggio – difendere le sue posizioni e la volontà – se ci sarà – di mantenerlo nella sua squadra. Quello che appare chiaro è che la potenza mediatica dell’inchiesta che colpisce 83 deputati siciliani è tutta da venire.