L’incontro fra Rosario Crocetta e il luogotenente di Angelino Alfano in Sicilia, il sottosegretario all’Agricoltura Giuseppe Castiglione si è svolto domenica 15 dicembre a Catania, come il nostro giornale aveva anticipato. Ben prima cioè della bocciatura che il governatore Crocetta ha dovuto subire dall’aula che ha bocciato senza indugi la proroga dei commissari per le province siciliane, in attesa di una legge di riforma per cui la commissione affari istituzionali dell’Ars si era data due mesi di tempo, uno in meno di quanto proposto dall’assessore regionale agli enti locali, Patrizia Valenti.
Oggi delle cronache di quel vertice, al netto dei mal di pancia che il Pd fa esprimere al suo segretario regionale, Giuseppe Lupo, ne sono pieni i giornali ma soprattutto l’agenda dello stesso governatore che dalla “lezione” dell’aula ha appreso una verità incontrovertibile: inutile evocare la “codardia” dei deputati regionali che non vogliono perdere il posto all’assemblea regionale siciliana. Il rischio che il suo governo vada a finire a gambe all’aria per aver tirato la corda di una rivoluzione che i partiti della sua coalizione non riconoscono c’è.
Ed è legato a stretto filo alla situazione nazionale: all’accelerazione impressa dal segretario nazionale del Pd, Matteo Renzi che con la letterina ai segretari di partito di ieri con la proposta di tre possibili riforme elettorali ha dato un segnale chiaro a tutti. Il gioco lo conduco io, ha voluto dire Renzi e sono pronto a sbugiardarvi in tutte le sedi: se la modifica della legge elettorale non si farà non sarà responsabilità del partito democratico che ha dato le carte e ha consentito a tutti di concordare una linea il più possibile condivisa. E poi Renzi – al di là delle parole parlate – ha voluto lanciare un messaggio anche al premier Enrico Letta, rinforzato nella strategia da un passaggio di Napolitano nel discorso di fine anno che subordina la sua permanenza al Quirinale all’obbligatorietà di riforme improcrastinabili. Quando la riforma sarà stata fatta, il ritorno alle urne sarà la naturale evoluzione chiudendo alle larghe intese.
Per sopravvivere, dunque, tornando in Sicilia, il governatore Rosario Crocetta non ha altra strada che l’apertura di larghe intese sul modello nazionale che gli garantirebbero anche una scappatoia all’obbligo di rimpasto che ormai Pd, Articolo 4 e alcune frange dello stesso Megafono invocano senza nemmeno nascondersi più. Lo fa oggi, sulle pagine de La Sicilia, il leader di Articolo 4, Lino Leanza che giura fedeltà a Crocetta fino all’approvazione della finanziaria regionale ma dopo…
Lo vuole lo stesso Pd, dove il segretario Lupo – il cui mandato potrebbe andare al rinnovo entro il 16 febbraio secondo gli intendimenti del nuovo segretario nazionale che vorrebbe accorciare i tempi per le primarie che rinnoveranno le segreterie regionali - rischia di “recedere” al ruolo di deputato regionale semplice. Mentre nei Drs, per Marco Forzese lo schiaffo della cacciata dalla presidenza della commissione Affari istituzionali è una ferita troppo aperta per poter essere dimenticata. Ma la partita di Forzese rischia di essere perdente in partenza visto che al famoso incontro di Catania con Crocetta, Castiglione, Pino Firrarrello era presente anche il leader dei Democratici riformisti, Salvatore Cardinale.
Gli unici che a questo punto potrebbero saltare l’appuntamento con il rimpasto – chiedendo in cambio forse altre contropartite – potrebbero essere proprio i fuoriusciti dal Pdl, il nuovo centrodestra in Sicilia e l’Udc di Gianpiero D’Alia. Il ministro della Funzione pubblica, la cui posizione al governo è data per traballante per il riequilibrio nell’esecutivo richiesto da Scelta Civica, ha benedetto l’allargamento delle larghe intese in Sicilia anche nell’ottica di un corteggiamento sempre più pressante che i Popolari per l’Italia di Casini stanno facendo al gruppo di Angelino Alfano in vista di una reunion che salverebbe l’Udc dalla scomparsa dalle urne alle prossime elezioni.