Riina lo vuole morto. Lo ha dichiarato dal 41 bis ma le dichiarazioni del boss di Cosa Nostra non stanno sortendo l’effetto sperato. Nino Di Matteo, pm nel processo sulla trattativa Stato-mafia, va avanti per le sua strada, lunga, difficile e pericolosa. In un’intervista di Marco Travaglio per il Fatto Quotidiano, il magistrato parla della sua condizione attuale. “Se mi guardo intorno e rifletto razionalmente, mi dico che non è valsa la pena aver sacrificato tanti momenti importanti di libertà e spensieratezza. Ma poi, per fortuna prevale la passione”.
Dalle sue parole, emerge un Di Matteo forte del proprio ruolo ma rammaricato da quanto gli sta accadendo intorno. “Fare il magistrato in questo modo non paga. Né in termini di serenità personale, né di carriera, né di apprezzamento omogeneo dalle istituzioni e dagli uomini che li rappresentano”. Definisce una “sottovalutazione” la descrizione di stampa e politica delle minacce da parte di Riina: “Minacciare qualcuno significa volerlo spaventare. Riina, intercettato in carcere, non si limita a minacciarmi”.
La vita del magistrato antimafia, specie nell’ultimo anno, è cambiata totalmente: percorsi sempre differenti per ridurre al minimo il rischio attentato e tante, tantissime rinunce. Ma la cosa che gli pesa maggiormente è “non essere capito da chi rappresenta lo Stato e persino da vari settori della magistratura. Troppi continuano e pensare che le nostre indagini siano tempo perso, risorse sottratte alla ‘vera lotta alla mafia’”. E così, chi lotta per la verità, dichiara di sentirsi additato come un “acchiappa nuvole”, come colui che tenta di scalfire il prestigio delle istituzioni o, addirittura, che sta facendo un “favore a Riina, mettendo sotto accusa uomini dello Stato e della politica”.
Ma la ricerca della verità non ammette distinguo. “Per essere credibile e riconosciuto come tale, lo Stato non deve temere di processare se stesso”. Perché non bastano carrarmati Lince o robottini antiesplosivi “Jammer bomb” a proteggere i magistrati in pericolo se manca la “reazione compatta di tutto lo Stato”. E “finora è arrivata solo a pizzichi e bocconi”, commenta Di Matteo.