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Renzi spinge per la spaccatura E anche a Palermo l’aria che tira…

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Se è vero – come si dice però solo in terra di Trinacria – che la Sicilia è un laboratorio politico che detta modelli nel resto d’Italia, allora l’aria di smobilitazione che si sente a Roma – e a Milano dopo il discorso di insediamento del neosegretario del Pd, Matteo Renzi – è quanto mai credibile e vera.

Da settimane l’Udc del ministro Gianpiero D’Alia e il governo dell’esponente Pd, Rosario Crocetta vivono momenti di tensione sempre più alta: ultimo casus belli la legge di stabilità regionale che rischia, come sempre, di finire al voto nelle ultime ore utili del 2013 su cui il segretario regionale, Giovanni Pistorio sostiene di non essere stato mai interpellato. Cosa decisamente strana considerando che l’Udc può contare su tre assessori in giunta e che di uno di questi, la responsabile degli enti locali, Patrizia Valenti, Pistorio è capo della segreteria tecnica.

Una scadenza quella del 31 dicembre per l’approvazione delle legge finanziaria regionale che fino ad oggi sembrava irrinunciabile dovendo agganciare a questa data anche il progetto di stabilizzazione dei 20 mila precari siciliani i cui contratti scadono proprio l’ultimo dell’anno. E invece un emendamento alla legge di stabilità nazionale, dopo un tira e molla anche questo velenosissimo fra il solito D’Alia e dall’altro lato il governatore Crocetta e i sindacati, ha spostato di un anno esatto, al 31 dicembre del 2014, le lancette di quella che sembrava una mannaia per le regioni che dovessero adeguarsi alle norme del dl 101.

Ma l’aria continua a non essere buona, anzi. Gianpiero D’Alia che a Roma è ministro della Funzione pubblica nel governo delle larghe intese di Enrico Letta oggi commenta il discorso di Renzi e non può non sottolineare come lo spostamento a sinistra delle rivendicazioni del Pd nei confronti del governo Letta non possano essere ricevibili da alleati che non si riconoscono in quell’area di governo. Anzi. C’è tanto più da sottolineare che gli occhieggiamenti di ieri fra Letta e il suo segretario Renzi, oltre alle belle apparenze di un cammino comune, nascondano per il presidente del consiglio insidie sempre più evidenti. Renzi, quando parla di ius soli, di unioni civili, dell’abolizione o della sostanziale modifica della legge Bossi-Fini, alza sempre più in alto l’asticella di una sfida che sa bene non poter essere accolta in Parlamento dai partiti della coalizione che sostiene il premier: Ncd di Alfano, ad esempio, non voterà mai la modifica della legge che regola l’accoglienza – o meglio il respingimento coatto – dei migranti che cercano fortuna a partire dalla Sicilia. Solo per fare un esempio. Per non parlare degli altri progetti di governo che, ragionevolmente, un esecutivo a matrice democratica e il suo elettorato dovrebbero volere se non pretendere.

E così D’Alia esclama inviperito che “l’attuale maggioranza non è di centrosinistra nel senso tradizionale del termine”. Dimentico, forse, il ministro D’Alia che a Palermo, il suo Udc governa con un presidente del Pd e con una maggioranza strettamente di centrosinistra (per quanto possa valere la matrice ideologica legata a questa parte politica). O forse il ministro messinese presagisce o annuncia la fine dell’esperienza palermitana, come i segnali di dissenso di queste settimane sembrano indirizzare, a brevissimo giro di posta. L’aria che tira, insomma, è tutt’altro che serena. E le elezioni, a Roma come in Sicilia, non sembrano più solo una minaccia-spot. Con tutte le riserve del caso su legge elettorale, semestre di presidenza italiana in Europa e tutti gli ostacoli sul cammino posti da chi sembra più spaventato dal risultato delle urne che dall’inattività dei governi che ci guidano. A Roma come a Palermo.


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